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Delude le attese il verdetto delle SS.UU. della Cassazione sulle “verifiche fiscali a tavolino”

 

(Pubblicato su sito Finanza Territoriale il 20.01.2016)

Assolutamente non in linea con le aspettative degli addetti ai lavori è il principio emerso dalla sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, resa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili.

La questione controversa riguardava “l’obbligo di contraddittorio preventivo”, e quindi l’emanazione di un PVC o di un verbale conclusivo della verifica fiscale, dalla notifica del quale partivano tutta una serie di garanzie e di diritti del contribuente al fine di far valere i propri argomenti e le proprie ragioni.

Il diritto del destinatario ad essere sentito prima dell’emanazione di un provvedimento che incide sui suoi diritti deve essere sempre garantito. Questo perché si tratta di assicurare l’inalienabile diritto di difesa del cittadino previsto anche dall’articolo 24 della Costituzione.

La delusione appare decisamente significativa in quanto, mentre in precedenza la problematica del principio del contraddittorio preventivo è stata oggetto di importanti sentenze della Corte di Cassazione le quali hanno sempre limitato l’applicazione del contraddittorio preventivo agli accertamenti originati da verifiche ‘a domicilio’, la Suprema Corte a Sezione Unite, con la sentenza  n. 19668 del 2014, ha fatto un passo avanti, statuendo l’esistenza di un principio generale che prevede sempre l’obbligo da parte dell’Agenzia delle Entrate di attivare il contraddittorio preventivo.

E ciò prima di adottare un provvedimento che possa incidere negativamente sugli interessi del contribuente. In caso contrario l’atto è da ritenersi nullo.

Dopo circa un anno però la Cassazione sempre a Sezioni Unite con la sentenza n. 24823 del 09.12.15 in commento, ha mutato orientamento, in quanto i Giudici affermano che, sebbene nelle materie armonizzate (IVA e dogane) esiste il rispetto del principio del contraddittorio, vi sono altri settori che restano invece scoperti.

La soluzione adottata è molto prudente e, quindi non esaustiva.

Si afferma che il contraddittorio ha una generale applicazione nelle materie armonizzate (IVA e dogane, principalmente), mentre, al di fuori di questo settore, esso avrebbe una applicazione solo nei casi espressamente previsti.

Nei controlli cosiddetti “a tavolino” (vale a dire alle verifiche eseguite presso la sede dell’Ufficio) l’Amministrazione finanziaria, in caso di tributi “non armonizzati”, non è tenuta a redigere il verbale di chiusura delle operazioni di verifica.

La conseguenza di tale decisione è di rilevante effetto giuridico, in quanto la mancanza dell’obbligo di redigere verbale di chiusura determina l’impossibilità per il contribuente di godere dei diritti e delle garanzie previste dall’art. 12 dello Statuto del Contribuente, e quindi per l’amministrazione non vi è l’obbligo di rispettare il termine di sessanta giorni per l’emissione dell’avviso di accertamento, e conseguentemente per il contribuente viene violato il diritto di presentare documenti, memorie e osservazioni, con palese violazione del diritto di difesa.

Nel caso di tributi “armonizzati”, invece, la mancata attivazione del contraddittorio endoprocedimentale comporta in ogni caso l’invalidità dell’atto di accertamento, purché il contribuente assolva all’onere di specifica enunciazione delle ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di procedimento amministrativo.

Precisamente il Collegio con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823, resa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili, ha affermato il seguente principio di diritto:

-differentemente dal diritto dell’Unione europea,il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto.

-Ne consegue che,in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito da una specifica norma di legge;

-in tema di tributi “armonizzati”,invece, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto.

Appare evidente che il principio enunciato è assolutamente deludente, anche in relazione al fatto che buona parte della giurisprudenza di merito, alla luce ed in relazione alla sentenza della Suprema Corte a Sezione Unite, n. 19668 del 2014, che aveva definito il “contraddittorio endoprocedimentale come diritto immanente del contribuente”, aveva iniziato a dichiarare la nullità degli avvisi di accertamento emessi in violazione dell’art. 12 dello Statuto e/o comunque quelli che difettavano di una attività istruttoria conclusa con un PVC o un verbale di chiusura.

Tra le tante vi è la sentenza n. 133/13 della Commissione Tributaria Provinciale di Aosta, pronunciata il 19.12.2013.

Avv. Iconio Massara - Specialista in Diritto Tributario

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